Ci sono ricordi di bambino che restano impressi nella mente. Anche e soprattutto se sono legati ad episodi tristi. Il nome di Bruno Pizzul, e la sua voce caratteristica, mi rimandano a Mantova-Brescia, ultima giornata di campionato di Serie B 1972-73.
Una sorta di spareggio salvezza tra due squadre che erano arrivate all’atto conclusivo a pari punti (30). Il Mantova però doveva solo vincere al Martelli mentre alle Rondinelle bastava un pareggio per miglior differenza reti. Nessuno pensava ad una nuova retrocessione dei biancorossi, che solo 12 mesi prima erano in Serie A. Invece quel caldo pomeriggio di giugno si celebrò un dramma sportivo epocale, col Mantova che non andò oltre l’1-1 e scivolò mestamente in C.
Ricordo che vidi gente piangere, probabilmente essendo bimbo lo feci anch’io. Alla sera, prima di cena, la RAI era solita trasmettere un tempo in differita della partita più importante della giornata. Quel giorno decisero di proporre proprio Mantova-Brescia. Ci facemmo due volte del male riguardando quanto era accaduto. Mi colpì però la voce del telecronista, che forse non avevo mai sentito, superato all’epoca nel calcio da Niccolò Carosio (ormai verso la pensione) e Nando Martellini. Mi colpì perché a fine partita si dilungò a commentare non tanto gli episodi della partita, quanto la delusione e l’amarezza del pubblico mantovano che sfilava mestamente fuori dallo stadio con la morte nel cuore. Si immedesimò nella tristezza collettiva di una città che, in silenzio, aveva assistito a due retrocessioni in due anni. In quel momento così brutto era una parola di conforto, non assolutamente dovuta nella sua professione, che però in qualche modo aiutò a guardare avanti.
Quel signore si chiamava Bruno Pizzul. Da allora lo seguii con simpatia senza mai dimenticare che, dietro al grande giornalista, c’era anche un notevole spessore umano. Che fa la differenza.
A.S.